lunedì 17 giugno 2013

365 giorni

365 giorni fa ero qui. sotto il diluvio universale, in cerca di templi nascosti, con la faccia bagnata e l'anima confusa.
Ero a 12000 km da casa con intorno il silenzio e dentro il rumore dell'ora di punta.
Camminavo da 11 giorni senza sosta, con i piedi sofferenti e lo zaino ormai appiccicato addosso. Rientravo da una notte passata a studiare corde a Osaka e, appena messo piede nel mio caldo ostello kyotese, avevo scelto di uscire verso un altrove di cui avevo bisogno.

Dall'altra parte del mondo avevo una camera in disordine, con un letto a soppalco saldamente bloccato al muro, perchè non cigolasse quando ci facevo l'amore, una coinquilina che sembrava perfetta, un ex fidanzato che mi detestava, pochi amici davvero importanti e molti passanti, un fidanzato che ero erroneamente sicura mi amasse, un libro da scrivere, dei capelli da far crescere, una trombamica condivisa che pensavo sincera e una non fidanzata che credevo di riuscire, prima o poi, ad amare.

Volevo tornare a casa a riprendermi la mia vita. Camminarci dentro con la leggerezza che quei giorni a piedi mi avevano regalato, con l'amore che solo dopo essermi ripulita sangue e respiro sarei stata in grado di dare.

Nulla di ciò che avevo era vero, invece. Nulla realmente sincero. E come un turbine, un bacio sulla guancia in aeroporto, una notte sul soppalco da sola, poche lacrime alla cassa di un supermercato, e ancora più veloce: una casa messa a soqquadro, la polvere bianca sul pavimento, i panni in lavanderia, il letto di casa di Mav, i baci in fronte, l'illusione di un nuovo inizio, e il posto di blocco a piazza venezia, la solitudine dell'estate a Roma, l'addio, il trasloco e la sensazione di non avere più pelle addosso nè piedi su cui camminare.


Non scatto una foto di me adesso.
Stesa a pancia in giù sul letto al piano di sopra della mia casa minuscola che sembra una barca, con le mutandine color petrolio e i piedi lucidi di crema che si muovono seguendo la colonna sonora di Anything Else.
Intorno il mio solito disordine, quello dei tempi solitari, una sola luce accesa, puntata in alto, e l'azzurro dello schermo del computer che mi illumina la curva della schiena, le spalle tirate sui gomiti, il volto in penombra a guardare lo schermo le dita, smaltate di rosso che galoppano sulla tastiera.

Lascio il pensiero tornare al posto in cui ho nascosto una fetta della mia anima, se andate la trovate lì, in mezzo ai bamboo tra la terra e il cielo.
E mi tengo una vita come questa, meno bella di quella che avevo un anno fa. Fortemente sincera.


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