venerdì 16 ottobre 2009

silenzio


Uscendo da Tokyo, seduta al secondo piano di un autobus diretto a Kyoto, ho visto per la prima volta la città che tutti gli altri sembravano vedere.
Shinjuku era come nelle foto dei miei amici, come nei servizi televisivi, quelli con la colonna sonora dei Pizzicato Five, come tutti disegnavano la magnifica capitale del paese del Sol Levante.
Vedevo ennormi insegne luminose e centinaia di giovani orientali con i capelli biondissimi e cotonati.
Ma non ne sentivo il rumore.
Niente palline del pachinko, niente commesse che attirano i clienti con voce squillante, niente video musicali a tutto volume.
E adesso che non sono più lì penso che sia stato proprio il rumore a sfinirmi nei mesi Tokiesi.
Ho da sempre paura dei rumori. Sono una di quelle che davanti a un incidente non chiude gli occhi ma si tappa le orecchie. Da sempre mi viene da piangere se qualcuno vicino a me grida e ancora adesso dopo anni mi innervosisce profondamente il solo pensiero del russare di qualcuno che ho amato.

E' come se per me il dolore risiedesse nel rumore.

Da quel pullman è iniziato il mio viaggio alla ricerca del silenzio, in una delle città più belle del mondo, nella speranza di scovare in poco tempo quella magia che tanto ho cercanto, per riuscire ad avere ossigeno abbastanza da aver voglia di ritornare alla mia solita ma sempre diversa vita.

mercoledì 7 ottobre 2009

mancanza


Sono stati necessari un paio di giorni di decompressione per riuscire a buttare giù questo post.
Prima di tornare in Italia mi chiedevo cosa mi sarebbe mancato del paese del sol levante e cosa no, ma non riuscivo a risalire a una risposta sensata.

Detestavo l'odore di brodo di pesce fin dalle prime ore del mattino, le file per entrare in metro, il bip fastidioso delle macchinette automatiche per l'acquisto dei biglietti.
Detesterò per sempre "irasshaimase", il benvenuto che sa di mercato urlato da stupide commesse con vocine squillanti.
Detestavo i palazzi e i neon, l'assenza di silenzio e l'indifferenza, il sentirmi sempre diversa ma ugualmente ignorata.

E ora vorrei pranzare a scuola con il kareudon, prendere il bento dallo zozzone che fa lo sconto di 50 yen, sentire il legno sulle labbra invece del metallo freddo.
E mi mancano le corse in bici, le mattine assonnate con le amiche, i musi e i sorrisi, le domeniche in cerca di cose nuove da fare, gli amici alcolizzati, la stanchezza dell'aver parlato 4 lingue per tutto il giorno.

Sono scappata in preda all'agitazione, ero stanca e stressata, forse pure un poco delusa.
Ma ora del Giappone mi manca tanto.
Ora mi manca un nuovo sogno al quale aggrapparmi.